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Saggi filosofici

IL MONACHESIMO FEMMINILE DAL IV AL X SECOLO

 

 

di

 

Fabio Squeo

 

 

 

 

 

 

 Introduzione

Nel vasto panorama della storia medievale, il fenomeno del monachesimo femminile riscuote un forte interesse tra gli studiosi. Tale interesse nasce nel momento in cui esso diventa oggetto di una possibile indagine mirata alle diverse categorie privilegiate della storia. Se si fa luce sugli stili di vita dell’apparato monastico femminile, sulle consuetudini e sugli atteggiamenti assunti dai monaci, è possibile cogliere le giuste chiavi di comprensione di questa realtà, ovvero riusciremo a leggere e riconoscere i segni dei tempi nel divenire storico e potremo cogliere gli aspetti della condizione umana e della spiritualità del mondo femminile nell’arco temporale che va dal IV secolo al X secolo. E’ necessario considerare il seguente aspetto saliente:  per quanto riguarda la storia del monachesimo maschile, generalmente gli storici medievisti dispongono di un considerevole archivio documentale costituito da cronache, storie, fonti agiografiche e liturgiche. Al contrario, per quello femminile, la disponibilità delle fonti è esigua poiché la figura della monaca è sempre stata una figura poco conosciuta nel corso della storia dell’occidente medioevale. In Occidente la donna, nell’esperienza del monachesimo, ha lasciato poche tracce sul suo cammino; esse hanno vissuto, tra l’altro, gran parte della loro vita nel pieno isolamento religioso, in zone di clausura. Tutta questa realtà è rimasta oscura agli studiosi proprio a causa dell’assenza di fonti. Sono state, però, recuperate fonti di carattere dottrinario e letterario del periodo alto-medievale, presso edifici monastici e istituti di clausura, attraverso cui si è potuto registrare e constatare puntualmente notizie riguardanti privilegi e consuetudini di vita all’interno dei monasteri, controversie di natura giurisdizionale, morte e litigi delle consorelle, miracoli e terremoti e altri aspetti quotidiani della vita monastica.

In questo breve lavoro ci proponiamo di focalizzare la nostra attenzione sugli aspetti che hanno massicciamente inciso sul fenomeno comunitario religioso femminile medievale, quel fenomeno cioè che va grossomodo, almeno nelle sue manifestazioni più importanti, dal IV al X secolo, comprendo un’area geografica relativamente vasta come l’Europa.                                   

Nel primo capitolo avremo modo di sottolineare il fenomeno storico tipico delle prime comunità religiose femminili, cercando di soffermarci sui caratteri generali che hanno fatto leva sulle esperienze delle singole monache nelle realtà di vita religiosa. Successivamente, nel secondo capitolo, cercheremo di sviluppare un’analisi storica che comprenderà in gran parte le questioni relative alle attività quotidiane svolte dalle monache, tra cui quelle di natura propriamente culturale.  A tal proposito George Duby e Michelle Perrot, infatti, ci ricordano che:

 

Nell’alto medioevo, a parte i sacerdoti e i monaci, esistevano anche delle donne colte, in genere religiose o nobili […].                                                                                                                            

 

Migliori opportunità si offrivano alle donne che non desideravano sposarsi, nel campo dell’educazione, dell’amministrazione e della produzione libraria. […] Le comunità religiose fornivano un ambiente favorevole, un’atmosfera di pace nella quale le donne potevano vivere, lavorare e pregare. Servendo Dio e servendosi l’un l’altra umilmente, potevano partecipare alla liturgia e trovare uno sbocco per le loro doti amministrative e letterarie. Alcune erano decane, altre guardarobiere, altre cantiniere e altre ancora portiere e c’erano, infine, quelle che svolgevano il ruolo di bibliotecarie, di scribe o di insegnanti.

 

 

Il terzo capitolo, infine, affronta un tema particolarmente interessante, secondo il nostro avviso, che è quello dei cosiddetti “monasteri doppi”, cioè quei monasteri diffusi in tutto il mondo occidentale,  in cui si ha la presenza promiscua di monaci e monache, sotto la direzione unica di un abate o più frequentemente di una badessa.

Abbastanza noto è il caso del monastero di Luxeuil, fondato dal monaco Irlandese San Colombano nel VII secolo. Qui, i discepoli di San Colombano manifestavano nei confronti delle religiose un atteggiamento diverso rispetto a quello riscontrato fino al secolo precedente. «lavoravano in società con le donne e scoprirono una maniera per costruire i monasteri fuori dalle città. Per proteggere le religiose ed aiutarle nella conduzione dell’istituto, nonché per fornire loro i servizi religiosi, questi uomini intraprendenti pensarono di aggregare un certo numero di monaci agli istituti femminili»

 

 1.  Caratteri generali delle prime comunità religiose femminili in Italia

 
La fondazione dei monasteri in Italia si ebbe già nel IV secolo, infatti proprio in questo periodo sono stati attuati i primi modelli di vita comunitaria e ciò soprattutto grazie all’influenza determinante di San Girolamo (347 - 419), e poi di altri esponenti dell’aristocrazia, oltre che dei seguaci dei modelli tipicamente orientali, secondo le pratiche conformate all’anacoretismo. Nel V secolo invece e nella prima metà del VI, la vita monastica in ambito italiano acquistò una consistenza decisamente maggiore, con delle regole pratiche ben definite. A tale proposito Benedetto da Norcia (480 – 543) è il riferimento storico di maggior spicco. Egli ha delineato nell’essenza le forme istituzionali dei monasteri. Benedetto visse nei torbidi periodi del regno di Odoacre, della venuta degli Ostrogoti e della guerra greco-gotica. Furono gli anni più difficili e nonostante questi climi di tensione sociale, egli fondò le prime comunità monastiche a Subiaco e poi a Montecassino, dettando intorno al 543 d.C., la famosa Regula monachorum o Sancta regula, che prevede un tempo per la preghiera ed uno per il lavoro e lo studio. L’espressione Ora et Labora sta a significare quella pratica grazie alla quale lo spirito si eleva nella direzione dei più alti valori umani. Come ricorda Gregorio Penco «Col monachesimo avrà origine una forma di vita consacrata interamente alla preghiera e alla penitenza, in un isolamento dal mondo che ammetterà un minimo e un massimo, ma vorrà esprimere e attuare il desiderio di un’esistenza dedicata completamente alla ricerca di Dio».

Dopo le varie pestilenze, le invasioni degli Ostrogoti, cioè appunto nel tempo in cui nell’Occidente infuriava la tempesta barbarica, e in mezzo ai disordini, alle violenze crollavano tutte le civili istituzioni, si ricostruiva lentamente all’interno dei monasteri il modello di una nuova società non più fondata sulla violenza e sulla conquista, ma sull’amore e sullo spirito di solidarietà collettiva: vale a dire un nuovo tipo di società e una nuova concezione della vita, che trovava il suo fondamento nel cristianesimo evangelico. E se da un lato il mondo germanico era in gran parte costituito fondamentalmente da forme di vita rozza, primitiva, pratica, e poco incline alle meditazioni, dall’altro si avvertiva grande fervore all’interno dei monasteri religiosi. Va detto peraltro che, generalmente, attorno ai monasteri vennero a raggrupparsi i contadini in cerca di protezione, e dietro l’esempio dei monaci presero a dissodare le terre incolte e a ripopolarle, facendo in questa maniera riemergere la coltura della vite e quella dell’ulivo, già da tempo abbandonate. Veniva così a ricomporsi in piccoli nuclei la società sconvolta dalle invasioni barbariche. I monasteri nel tempo divennero ben presto una grande comunità formata di monaci, monache e laici, una comunità autonoma dalla giurisdizione vescovile e autosufficiente, in grado di provvedere da sola ai bisogni primari. Alla fine del IV secolo il movimento monastico è sulla retta dell’espansione e le regole vengono indirizzate ai monaci e fatte osservare sempre più anche dalle donne. Per quanto riguarda, in modo particolare, la realtà delle donne all’interno della sfera monacale in Italia, si può ben dire che, essa ha lasciato poche tracce sul suo cammino storico. A sostegno di questa tesi Maria Carpinello ci ricorda che:

 

 

le donne hanno vissuto nel completo isolamento religioso, sia perché gli archivi dei loro monasteri, trovandosi in zone di clausura, sono rimasti inaccessibili agli studiosi.

 

 

Comunque, le indagini storiche effettuate sulle fonti letterarie occidentali ci avvertono che le comunità femminili siano sorte prima rispetto a quelle maschili. Infatti, nel 376 Ambrogio di Milano descrive la vita di un gruppo di donne bolognesi votate alla verginità e impegnate a diffondere il loro ideale fra altre donne. Nel 384, inoltre, a Roma, il termine “monastero” è usato da Girolamo per descrivere la comunità di Lea, ottima madre spirituale. Sin da subito, la donna cristiana si è sempre rivelata protesa alla preghiera e alla ricerca di Dio.

Maria Carpinello ancora ci ricorda:

 

 

 

La comunità femminile viene organizzata come quella maschile, l’unica differenza è che le monache non portano la melote, indumento di pelle ovina in uso presso i padri del deserto.

 

A proposito dell’abbigliamento delle monache si può ricordare quanto San Gerolamo ci dice nelle sue lettere:  nel momento ( IV secolo) in cui, per esempio, la piccola Asella (334 – 405) decise di consacrarsi a Dio, vendette un gioiello prezioso e acquistò una tunica più scura, Tunica fuscior. Un altro esempio fornitoci sempre dalla raccolta epistolare di Gerolamo, si ha precisamente nella Lettera 130, 5.  Un'altra giovane patrizia, Demetriade, maturato il proposito di darsi alla vita religiosa, «indossa una tunica di poco prezzo e un mantello ancora più modesto».

Inoltre, i primi legislatori latini, da Cesario d’Arles (470 – ca. 543) a Donato di Besanҫon, (n.594 circa – m. dopo 656), prescrivono che le vesti delle monache siano di colore semplice, mai brillanti, ma sempre di tinta neutra.

Semplicità e povertà furono, allora, i requisiti fondamentali che sempre si ritennero propri delle vesti monastiche.

 

Ritornando alla Carpinello e al discorso riguardante il modo di vivere all’interno dei monasteri, possiamo apprendere dalla studiosa che:

 

Le due comunità vivono in stretta intimità di spirito, anche se fra loro vige la più rigorosa separazione.

 

 

Nelle comunità religiose femminili del IV secolo, le donne vivevano in pieno rapporto con Dio e i rapporti instaurati con la presenza maschile potevano verificarsi in alcune particolari circostanze. L’incontro avveniva soltanto in vista di una ragione rigorosamente motivata. L’unico argomento consentito, però, era quello religioso. Tuttavia, la divisione tra le due comunità rimane ancora un fenomeno ben risaputo, anche perché i monaci vedevano raramente le monache. 

Inizialmente, l’elemento della vita eremitica era sconsigliato alla donna del monastero, poiché si pensava potesse rappresentare un pericolo alquanto imperdonabile: vale a dire l’incapacità di resistere alle tentazioni peccaminose. La donna così passa, infatti, sotto la tutela di un’altra donna chiamata badessa, che si prende la responsabilità di preservarla da eventuali atti impuri.

La donna entra, allora, a far parte di una dimensione sociale nuova, vale a dire una comunità quasi esclusivamente femminile. La badessa è, sostanzialmente, la coordinatrice e la direttrice del convento. Essa svolge, inoltre, all’interno della comunità religiosa il ruolo di madre e maestra delle monache. E’ compito delle badesse assicurare l’istruzione e guidare alla preghiera le giovani donne, attribuire mansioni, e concedere eccezioni alle regole, specialmente per le novizie alle prime armi e per le monache malate tenute in cura.

Caroline Walcker Bynum ci ricorda che:

 

 

Nell’alto medioevo la storia delle suore si presenta complessa […]  sia per quanto riguarda l’influsso esercitato dai monasteri femminili (e dalle loro badesse) sulla società circostante, sia per ciò che concerne il prestigio sociale da cui erano circondate le opere di pietà delle laiche sposate. E tuttavia, per quanto potenti potessero essere alcune dame medievali, certe badesse, o regine addirittura considerate in aura di santità, in generale l’accesso ai ruoli religiosi  restava comunque limitato all’aristocrazia.

 

 

Il monachesimo femminile – stando alle fonti storiografiche – può distinguersi in tre fasi in base al diverso comportamento assunto dalla donna nel corso del tempo.

La prima fase è quella che va, grosso modo,  dal VI al VII secolo ed è contrassegnata dalla ribellione contro i genitori o il marito; è quella fase in cui i monasteri erano ancora poco numerosi, dove servire il Signore nella vita religiosa necessitava di un vero e proprio atto di coraggio.

La seconda fase è quella che va dal VII all’VIII secolo. Nell’arco di questo periodo si assiste alla diffusione delle diverse comunità femminili e le donne potevano trovare, addirittura, un religioso che le aiutasse e che intercedesse per loro.

Infine, l’ultima fase è quella che va dal IX al X secolo: i genitori sollecitavano le figlie ad entrare in monastero. E’ questa la fase in cui si cercava di ottenere il rigoroso isolamento delle monache nei chiostri.

Questa particolare e variegata realtà è massicciamente diffusa in Gallia, ma anche in Italia.

Importante fu il ruolo svolto da papa Gregorio (540 – 604) subito dopo le invasioni ostrogote, bizantine e longobarde, dal momento che Gregorio affidò alla direzione di badesse, molti dei palazzi romani, destinati ad accogliere originariamente istituzioni religiose solamente maschili.

E’ noto che dal Registrum Epistularum (la raccolta delle lettere gregoriane che ci permette di cogliere il grande pontefice nel vivo della sua azione di pastore di anime, di uomo di governo, di grande scrittore) il pontefice fece un appello importante  al clero, al fine di proteggere e raccomandare alle monache la assoluta castità, di rimanere in convento e di non sperperare il patrimonio dell’intera comunità monastica.  Il periodo carolingio vede il manifestarsi del progressivo rallentamento della fondazione dei monasteri femminili, ma solo verso la seconda metà del X secolo, si assisterà, in Italia, ad un leggera ripresa. Questa ripresa avvenne grazie alla presente politica degli ottoni. Già verso la fine del VI secolo, i monasteri in Italia erano diffusi in quasi tutti i centri urbani dato che le campagne erano sempre più insicure a causa delle furibonde scorrerie barbariche. Per questo motivo Papa Gregorio Magno pensò bene di avviare una politica di edificazione dei monasteri nelle città.  Infatti, oltre che a Roma, egli si impegna nella creazione di altri monasteri, come quello di Napoli, di Pisa, di Nola , e delle città siciliane e sarde.

 

 

 

 

 

 

 

2.  Le attività quotidiane delle donne nei monasteri

 

 

Secondo George Duby e Michelle Perrot «Fino al basso medioevo l’arte è in massima parte ecclesiastica».

Gli istituti religiosi femminili garantivano un ambiente tranquillo e di pace, dove le monache potevano tranquillamente pregare e nello stesso tempo lavorare.

Nonostante che la Chiesa, formalmente continuasse a considerare l’istruzione femminile come un eventuale pericolo da tenere a distanza, tra le famiglie aristocratiche più illustri c’era l’usanza di mandare le figlie in convento perché costoro potessero ricevere una preparazione culturale e artistica. Le monache iniziano, così, a frequentare biblioteche nelle quali hanno la possibilità di istruire e istruirsi; luoghi, dove esse apprendono l’arte della lettura, della scrittura e apprendono anche l’arte della lavorazione dei tessuti ornamentali a parete, stole, paramenti e stendardi e arazzi ad uso ecclesiastico o profano. Le loro doti amministrative e letterarie potevano prender forma grazie alla predicazione della parola di Dio e al dialogo costruttivo fra di loro. Alcune erano decane, altre guardarobiere, portiere, cantiniere , e molte delle quali svolgevano attivate di insegnanti, bibliotecarie e scribe. Per esempio, un fattore rilevante si riscontra propriamente nei monasteri benedettini, dove le monache si dedicavano in paricolar modo alle attività legate all’ospitalità, educazione, lavoro agricolo, restauro,conservazione dei libri antichi, organizzazione di ritiri spirituali.

 

 3.  Formazione dei monasteri doppi

 

 

Nel VII secolo l’Europa ha conosciuto in ambito religioso un fenomeno rivoluzionario, dal momento in cui l’intervento di un monaco irlandese, San Colombano ( 542 ca. - 615), prese seria considerazione l’idea di essere solidale sia con gli uomini che con le donne. Nel monastero di Luxuil, da lui stesso fondato, i suoi discepoli manifestavano nei confronti delle religiose un approccio diverso da quello riscontrato fino al VI secolo. Essi, infatti lavoravano tranquillamente in società con le monache e concepirono un modo per costruire i monasteri fuori dalle mura della città.

I monaci pensarono bene di proteggere le donne e aiutarle nella conduzione del monastero, e nella gestione dei servizi religiosi. Prendono vita, così, i cosiddetti monasteri doppi. Questi monasteri erano, appunto, composti da una comunità maschile e da una comunità femminile. Due comunità, una di monaci, l’altra di monache, stabilite in uno stesso luogo e che condividevano l’obiettivo della predicazione, del rispetto della regola e dell’autorità e di impegnarsi seriamente nei diversi lavori manuali. Le monache cucinavano, si dedicavano alle pulizie, inoltre servivano, cucivano, pescavano, producevano birra e facevano il fuoco. Tutto ciò, dimostra la quotidianità nei monasteri medievale di questa particolare fase storica. 

Secondo Mary Bateson, le donne ricoprivano una vastità di ruoli e la loro superiora per lo più, era la badessa. Per quanto riguarda invece le questioni legate alla sfera personale, le monache dormivano nei dormitori obbedendo a certi principi, mentre le giovani religiose si alternavano con le anziane per evitare le tentazioni della carne e la diffusione di un’atmosfera poco consona ai regimi monastici. I capelli venivano lavati normalmente alla domenica e addirittura pubblicamente. La Carpinello, ancora, ci informa che:

 

La cultura monastica dei primi secoli riconosce a uomini e donne la possibilità di dare la medesima resa spirituale; fra i due sessi intercorrono relazioni simbiotiche, delle quali l’istituto del monastero doppio è lo specchio. Tale istituto si distingue peraltro da quello del monastero misto, che raduna uomini insieme con vergini in situazioni poco chiare ed è deprecata dai concili ecclesiastici e dai divulgatori dell’ideale ascetico.

 

Va ricordato inoltre che le badesse avevano una funzione quasi sacerdotale dal momento che potevano tranquillamente benedire i membri della stessa comunità. Tra i loro compiti vanno ricordati soprattutto quelli che riguardavano l’amministrazione, la disciplina, e come si è già avuto modo di ricordare in precedenza, quello del benessere spirituale.

L’istituzione doppia si diffuse in tutto l’Occidentale: In Francia abbiamo un monastero fondato dalla badessa Fara nella Brie, come ci ricorda l’illustre Beda, Anche in Inghilterra furono fondati diversi istituti di quel tipo.

Per esempio Hilda, badessa di Whitby, era a capo sia dei monaci che delle monache. Ella aveva trascorso trentatré anni dedicandosi alle occupazioni normali della vita non religiosa, o comunque laica. In Italia si riscontra la stessa realtà, infatti,  furono anche qui, fondati alcuni monasteri doppi che, non avevano, però, a capo badesse. Tra i monasteri doppi italiani vanno ricordati almeno quelli di Santa Maria e San Pietro in Alife, posti sotto la giurisdizione di San Vincenzo al Volturno, una comunità maschile.

 

A Roma, Santo Stefano e San Cesareo erano diretti rispettivamente da un abate e da una badessa, ma erano entrambi sotto la giurisdizione della basilica di san Paolo. Altre più famose istituzioni doppie medievali sul vasto territorio cristiano restano comunque quelle fiorite attorno a Fontevrault, il monastero più importante fra quanti ne fondò il mistico fu Robert d’Arbrissel (1045 – 1116), il visionario che usava andare in giro predicando e convertendo, sempre seguito da turbe di popolo penitente ed in preghiera. Anche qui, il monastero doppio aveva una regola tutta particolare. L’istituto aveva a capo una Badessa, che doveva essere scelta non tra le vergini, ma tra le vedove, una Veuve Dame. Proprio per il fatto che, essa avendo fatto esperienza della vita matrimoniale era in grado di giudicare le altre monache nel loro percorso spirituale. Robert d’Arbissel stesso visse da allora sottomesso alla badessa, che aveva su tutti una certa autorità sia spirituale che materiale e, dunque,  aveva la funzione di accettare novizie e novizi, di scegliere quelli destinati al sacerdozio, di allontanare gli indegni, e di amministrare i beni comuni.

 



 
 


 
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